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PISA ore 3 AM. 26 ore dopo la partenza. il mattino all’aeroporto di herat era aspro e senza ombra, con il vento che arrivava in fretta a portare particelle di sabbia, quelle che mentre parli si piazzano nelle strette porzioni libere del tuo morso, tra i denti e che ti fanno sputare nella poca saliva la stanchezza di 5 mesi di sudore e di paura, dopo una notte insonne passata a sognare l’odore delle tue cose nella tua camera, nella tua casa. ero pulito, sbarbato, con la divisa asciutta e stirata, le scarpe lucide come i calzini binchi nuovi di spugna. ora sono stanco, logoro e sporco, dopo un viaggio interminabile sopra un mondo che dall’alto sembra piatto e deserto. ma il rumore dei freni e dei motori che si fermano mi risvegliano dall’ultima fatica. mi trovo a scendere dalle scalette dell’aereo, grigio come il mio viso. sono le 3 del mattino. appena esco dalla piccola aporta laterale, sento di nuovo il profumo. il profumo del verde, degli alberi che si muovono sotto una leggera brezza. sento odore di pulito e gli occhi piano piano si abituano di nuovo alle tenebre del piazzale vuoto. non mi sembra vero. sono in Italia. di nuovo a casa. una casa grande 350 km, la distanza che mi separa da casa. ma è già casa mia. è come se mi abbracciasse, senza timore di sentire l’odore del mio sudore. è come se un tenero abbraccio arrivasse dall’aria fresca della notte, una notte felice, come i desideri che mi arrivano… un caffè all’autogrill con la commessa dagli occhi stanchi da troppe notti passate in piedi di fronte ad avventori casuali. anche i suoi occhi sono una gioia, anche le sue fatiche, la sua stanchezza, i suoi movimenti senza umanità e da automa dietro alla macchina del caffè sono una gioia. gioia vera, dopo tanti giorni lontano dalla mia terra. cose piccole mi passano di fronte agli occhi, i dispenser delle gomme americane con un bambino assonnato che cerca di prenderne di nascosto dai suoi genitori, il rumore della radio in sottofondo, i colori degli scaffali pieni di mercanzia che quasi mi fanno girare la testa. eppure è gioia vera, come quella che nonostante tutto vedo nel paio di occhi stanchi. mi dicono che sono a casa, nella mia terra, la mia Patria, quella che ho servito e per il quale vale la pena di morire.. quella terra che prima di andare a dormire immaginavo dietro le stelle, con un percorso immaginario e veloce, come se potessi viaggiare come una stella cadente in orizzontale, con una parabola di pensieri che mi portava ad immaginare il mio balcone pieno di fiori e il letto con le lenzuola di lino che mi aspettava, l’abbraccio di mia moglie prima di dormire e lo sguardo di un figlio che ho abituato troppe volte a crescere senza la mia voce prima della notte fra i suoi sogni. come tutti i miei sogni che fermavo nella mente per assaporare il desiderio della libertà, come se li fissassi per riappropiarmi di una identità che il territorio fatto di monti e sabbia che sorvolavo ogni giorno mi aveva tolto nel corso di tutti i giorni passati sotto un sole mai spento con il vento che portava pensieri di morte e il suono della disperazione. un vento che non finisce mai e che porta odori e storie da scoprire, come nel libro del “cacciatore di aquiloni” non ricordo notte nella quale non ho pensato al viaggio di ritorno. e pensavo..io volo. ho volato sul mondo, un mondo che a volte sembra tanto piccolo. ma che nello stesso istante sembra dilatarsi in funzione del desiderio che ho di fermarlo. e mentre pago il caffè.. primo di rimettermi in marcia per arrivare a godermi l’abbraccio che mi manca da tanto, di fronte a quegli occhi da mamma stanca, mi viene in mente il colore delle valli che ammiravo per la loro profondità e per il loro cromatismo accentuato e inizio a pensare che dovrei catalogarli come “ricordi”… ricordi che passano, diventano storie da raccontare, momenti da rivedere magari solo con l’occhio di un viaggiatore di fronte ad una birra tra amici che ingigantiscono le parole per dare risalto al loro “ego” martirizzato dalla routine. salti di pietra, feirte nella terra e mari fatti di onde di polvere passano adesso in una parte della mia mente, solo per dire… io ho visto. ma adesso voglio di nuovo appropiarmi di ciò che è mio. voglio di nuovo sentirmi parte di un mondo fatto di verde, di alberi e di boschi magari anche di luci e di cemento, di stress da traffico e da cultura decadente… ma mio. un mondo mio… come mai prima d’ora volevo che fosse.
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